Qualche tempo fa, in una calda e umida mattina d’estate padana, stavo andando al lavoro in bicicletta, quando vidi una ragazza seduta per terra vicino al Centro Prelievi. Aveva in mano il referto delle analisi. Per un attimo il nostro sguardo si è incrociato. Il contrasto tra il mio pedalare veloce e la sua immobilità mi colpì in modo stridente. Correvo, non solo fisicamente, ma anche con i pensieri. Ero già con la mente proiettata al lavoro, ai pazienti che dovevo incontrare e a quella che percepivo una mattina come un’altra, densa di impegni lavorativi e familiari. In una frazione di secondo sentii la mia mente rallentare, come se stesse usando la moviola. I miei pensieri si fecero lenti, un po’ come quelli descritti Kahneman. In quello spazio al rallentatore sapevo di avere l’occasione di passare da un comportamento automatico a una scelta consapevole. Osservavo i pensieri automatici: “ho fretta”, “non è niente di grave”, “passerà qualcun altro”, “ho un lavoro importante da andare a fare”, “e se poi è pericoloso”, “ma ti pare che uno deve proprio sedersi per terra con tutti i microbi che ci sono!!!”. Libere associazioni. Chiacchiere della mente che impediscono una visione lucida. Annebbiano. Confondono. Con questo stridore in testa, mi accorgo che il mio corpo si sta piegando verso sinistra. Sto svoltando per fare la curva. La ragazza è lì, proprio all’incrocio. E il nostro sguardo si incontra di nuovo, in modo diverso. Sento quella sensazione di connessione e di sintonizzazione che provo spesso quando aiuto chi ha bisogno. Una sensazione mista di empatia e di desiderio di aiutare, di dare sollievo. Il suo corpo sembra inerme senza energia. Lo sguardo triste. La bicicletta si ferma. La accosto al muretto, dove anche la ragazza è appoggiata. Mi avvicino piano. Porto l’attenzione in modo consapevole al respiro, sento l’aria che entra e che esce. Il mio corpo si rilassa. Il mio sguardo si ammorbidisce. Posso avvicinarmi; noto nella ragazza i segnali del corpo che fanno capire la possibilità di una vicinanza sicura. Ora siamo vicine. “Come stai?”.
Perché pratico la Mindfulness? Perché posso scegliere a cosa dare attenzione; posso decidere di soccorrere invece che scappare o rimanere indifferente; posso lasciar andare le reazioni automatiche ed entrare in sintonia con le persone e con l’ambiente.
Perché insegno la Mindfulness? Per condividere e far crescere l’opportunità che abbiamo di coltivare il nostro potenziale umano e di agire intenzionalmente in ogni momento della vita.
Bibliografia
- Pensieri lenti e veloci
Daniel Kahneman – Ediz. Mondadori, 2020 - Chatter: the voice in our head, why it matters, and how to harness it
Ethan Kross – Ediz. Crown, 2021